Non è affatto facile dare informazioni certe e indubbie sulla situazione dei profughi che cercano di passare per la Croazia. C’è infatti molta confusione e la situazione cambia di ora in ora. È molto difficile crearsi un quadro chiaro e completo su cosa sta succedendo veramente. Cercherò, tuttavia, di dare qualche spunto sull’atmosfera generale e sul comportamento dello stato croato nei confronti dei profughi.
I primi profughi a passare il confine tra la Serbia e la Croazia sono stati visti nella settimana dal 14 al 20 settembre. In Croazia hanno trovato un’accoglienza generalmente regolare da parte della polizia e delle organizzazioni come la Croce rossa, e piuttosto generosa da parte della popolazione locale, anch’essa vittima di guerra nei non lontani anni Novanta. A quanto sembra, finora non si sono visti episodi di abusi né brutalità poliziesca verso i profughi, che nei primi giorni sono stati identificati e subito diretti verso la Slovenia perché continuassero il loro viaggio.
Ancor prima dell’arrivo dei profughi in Croazia, nel paese si stavano già formando varie iniziative civili di aiuto e solidarietà volte verso la Serbia e l’Ungheria, e si sono intensificate e riorientate localmente da quando sono cominciati a passare dalla Croazia.
Tuttavia, non tutta la popolazione croata nutre empatia verso i profughi. Già dai primi giorni sui social network e vari media più o meno loschi si poteva leggere di presunte violenze e attività criminali da parte degli “immigrati islamisti”, come vengono chiamati dagli xenofobi. Il Ministero degli Interni ha dato un avviso pubblico il 18 settembre per contestare tali disinformazioni, affermando che le questure croate non hanno ultimamente evidenziato nessun aumento di attività criminali, delitti né di altre violazioni.
La sospensione temporanea degli accordi di Schengen da parte della Slovenia, l’Austria e la Germania, come anche l’aumento dei controlli sloveni sul confine con la Croazia (non ancora appartenente alla Zona Schengen) hanno rallentato il flusso dei profughi, che sono cominciati ad accumularsi in Croazia. Così si è cominciato col sistemare temporaneamente i profughi nei vari centri di accoglienza temporanea, alcuni già in uso per i richiedenti asilo (come quello di Zagabria), o per immigrati “illegali” (come quello di Ježevo), ma ultimamente soprattutto nella nuova tendopoli costruita apposta per i profughi vicino al villaggio di Opatovac, verso il confine con la Serbia, non lontano da Vukovar.
Il centro d’accoglienza di Opatovac è stato costruito la domenica del 20 settembre e messo in uso dal lunedì 21. Secondo alcune fonti sul terreno, l’accampamento è equipaggiato per accogliere 3000 persone, ma la TV nazionale dice invece che può accoglierne 5000. Arrivati al centro d’accoglienza, i profughi vengono evidenziati, medicati e poi sistemati nelle tende. La permanenza massima prevista è di 2 giorni, dopo di che andrebbero trasferiti in Ungheria.
Lunedì 21, con un gruppetto di amici, mi sono diretto in macchina verso Vinkovci per incontrare i volontari dell’associazione locale Društvo “Naša djeca” (Società “Nostra infanzia”) per i diritti dei bambini, che in coordinamento con l’UNICEF e Save the Children hanno organizzato un asilo nido in tenda, prima al passaggio di confine di Tovarnik e poi al centro d’accoglienza di Opatovac.
Siamo arrivati a Opatovac di sera, verso le 19. Già da fuori, la vista del centro ci faceva venire in mente un campo militare, se non addirittura un lager. Alquanto spaventoso in ogni caso. C’erano molti media e moltissima polizia, e continuava a venirne molta altra. Normalmente, oltre a polizia, esercito e profughi “regolari”, l’entrata nel campo è concessa solamente agli appartenenti di associazioni registrate per l’assistenza. Quella sera però, non poteva più entrare nessuno oltre a polizia ed esercito. Anche l’identificazione e l’accoglienza di nuovi arrivi sono stati temporaneamente sospesi. C’era un clima di tensione, e ogni tanto si sentiva qualche grido da lontano, probabilmente dall’interno, ma non si capiva se si trattava di una rissa, una rivolta o cosa. Non si potevano ottenere informazioni.
Nel frattempo, davanti al cancello, aspettando di entrare nel centro, due bimbi per ore si divertivano giocando a pallone e ridevano, come se niente fosse, senza preoccuparsi né della polizia né dei media che li circondavano, né del duro viaggio, né della guerra da cui probabilmente scapparono. E invitavano anche noi altri a unirsi al loro gioco. E noi abbiamo accettato. Così ho avuto modo di conoscere anche un giovane siriano, appassionato di calcio e molto simpatico, che con sua madre e la piccola sorella cerca di raggiungere il padre nei Paesi Bassi.
La mattina seguente siamo riusciti a entrare nel centro d’accoglienza, offrendo aiuto ai volontari della Croce Rossa, sia in acqua e cibo (che dal giorno prima portavamo con noi apposta) che in manodopera. Davanti c’era moltissima gente che aspettava di entrare già dalla notte scorsa, ma i procedimenti andavano lentissimi, siccome effettivamente non c’era abbastanza personale amministrativo e medico per accogliere più velocemente tanta gente. La gente di fuori era molto stanca, affamata e assetata e aveva fretta d’entrare. Così si è visto gente che saltava il cancello per entrare prima, ma la polizia li rimandava fuori. Nell’aria un po’ di tensione non smetteva di esserci.
Sotto il forte sole del mezzogiorno, si è visto anche gente svenire, e persino un infarto. Gli svenuti e l’infartuato sono stati subito accolti, come anche le donne visibilmente incinte. Gli altri dovevano aspettare, mentre non smettevano di giungere sempre più nuove persone durante il giorno. I volontari di varie associazioni continuavano a portar loro da mangiare, bere e vestire, ma le provviste, pur arrivando continuamente, mancavano sempre.
D’altro canto, nel campo stesso, c’era gente che voleva uscire, ma gli è stato proibito: una volta entrati si può uscire solamente accompagnati per prendere l’autobus assegnato e continuare il viaggio. Nell’accampamento ho avuto modo di parlare con diverse persone e ho saputo, finalmente, che la sera prima dentro c’era stata una protesta. Il fatto è che la gente non viene informata sulle procedure, per quanto tempo resteranno nell’accampamento e, essendo chiusa dentro, si sente imprigionata. E poi l’accampamento sembrava essere più riempito che vuotato, accumulando troppa gente su un campo non abbastanza grande. Tutto ciò provocava nervosismo e tensione.
Tornato a Zagabria, mi ritrovo a seguire il caos mediatico cercando di capire cosa sta succedendo. Si è parlato della possibilità di aprire un altro centro d’accoglienza a Beli Manastir, ma sembra che invece si stia allargando quello di Opatovac, che però non è (ancora?) attrezzato per l’autunno e l’inverno. Tuttavia, sembra che il numero di gente a Opatovac stia diminuendo, anche se nuovi profughi contuinano ad arrivare, il che indicherebbe un aumento di efficienza nell’organizzazione del trasporto.
Insomma, oltre alle scarse informazioni date ai profughi chiusi in “accoglienza temporanea”, non si sono ancora visti incidenti gravi in Croazia. Bisogna sottolineare, però, che la relativa correttezza, seppure alquanto goffa, nel trattamento dei profughi da parte dello stato croato ha probabilmente a che fare con il fatto che la grande maggioranza di loro non intende fermarsi in Croazia, ma spera di raggiungere i paesi più sviluppati dell’UE. I politici non mancano a sottolinearlo. È anche ovvio che questa non è una questione solamente croata, il flusso e il trattamento dei profughi dipende anche dal comportamento degli altri paesi europei, sia quelli in transito che quelli di destinazione, e soprattutto dalla situazione in oriente, provocata dalle politiche occidentali. Ma politica di stato a parte, è commovente vedere la grande solidarietà mostrata da molti abitanti della Croazia e l’altrettanto grande gratitudine da parte dei profughi verso chi cerca di aiutarli come meglio può.
Franko Burolo